Col passare del tempo, nei secoli XVI-XVII, si assiste ad una evoluzione della struttura produttiva vietrese in chiave quasi industriale: le alte fornaci a tre piani, affidate alla protezione di Sant'Antonio, sfornavano migliaia di piatti, di giare, di boccali. I motivi decorativi tradizionali si rifanno ad uno stile arcaico, al di fuori del tempo e dello spazio, perfezionato nel particolare decorativo. I colori ripresi dalla tavolozza vietrese sono quelli delle marine mediterranee: i fondali azzurri e il cielo che si fonde con il mare.
Verso Napoli, capitale del Regno meridionale e sede dei principali committenti, si indirizzava gran parte della esportazione. Negli anni Venti del Novecento inizia una nuova fase originale della ceramica vietrese: all'opera degli artigiani locali si mescolano il lavoro e l'esperienza di un gruppo di stranieri, per lo più tedeschi. Richard Doelker, Irene Kowaliska, Elle Schwarz ed altri ancora, si stabiliscono a Vietri e aprono un proprio laboratorio. Il riferimento culturale che si può dare a queste esperienze è quello della grande stagione espressionista che però, migrando al sud, perde la sua carica drammatica e si fonde con la tradizione locale.
Sintesi creativa, immediatezza delle immagini, purezza dei colori sono i caratteri che segnano il cammino della produzione vietrese. Lo strumento espressivo è sempre lo stesso: colori accostati per contrasto, senza passaggi d'ombra e senza sfumature. Questo è il filo conduttore d'una tradizione che si rinnova nello stile e nella forma, ma che non tradisce mai la qualità della produzione, caratterizzata dalla corposità dello smalto e dalla velocità delle pennellate di colore, la cui stesura si deve al gesto sapiente che guida la spugnetta o il pennello e all'agile gioco del polso. Questa tradizione antica si è tramandata a Vietri in forme ricche di umanità, che il tempo non è riuscito a scalfire: sono ancora numerosi i laboratori dove quest'arte viene perpetuata con amore e passione.